MoJoCon (peculiar nombre para el oído español, que proviene de Mobile Journalism Conference) se ha celebrado en el Centro de Convenciones de Dublín, a dos manzanas de Facebook y a unas pocas de Google, Amazon, AirBNB, Yahoo… el centro neurálgico y económico de Internet en Europa.

Centrar la I Conferencia Internacional en Periodismo Móvil solo en periodismo móvil supondría dejar fuera demasiadas cosas, porque ha sido un encuentro de los actores más destacados del panorama audiovisual internacional hecho con móviles. Se han dado cita periodistas de prensa escrita, de radio y de televisión, pero también cineastas, formadores, desarrolladores de apps, creadores de accesorios, distribuidores de equipos técnicos, freelancers, productores, storytellers, influencers, directores de innovación, pensadores… Se ha hablado mucho del futuro que ya es presente, aunque algunos todavía no se lo tomen muy en serio.

Han sido unas conferencias en las que el protagonismo se ha repartido entre el cómo, el con qué y el qué se puede hacer con eso que llevamos siempre con nosotros: la cámara del móvil. La definitiva e irreversible democratización del vídeo.

De la programación de MoJoCon ya te hablamos en un post anterior (Todo listo para la I Conferencia Internacional de Periodismo Móvil). Hoy te cuento cómo fueron las sesiones y los talleres a los que he podido asistir.

Quizá, antes de seguir, sea mejor que veas este resumen que hemos realizado en vídeo de lo que fue MoJoCon 2015, grabado con iPhone 5S y editado en iPad 3 (al final del vídeo puedes ver con qué apps y accesorios está hecho).
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Judges: Steve Cavendish (Nashville Scene), Tracy Collins (Gannett’s Phoenix Design Studio), Anne Marie Owens (National Post), Emmet Smith (Washington Post), and Fevzi Yazici (Zaman).

We arrived in snowy Syracuse to stacks of 215 papers. After an initial cut, we took it down to 58, which we then further cut to 17 finalists over the course of two days.
That is the statistical analysis. The reality is considerably more agonizing and also more inspiring than the mere numbers convey.
Getting down to 58 that first long day was easy compared to what would come.
We saw great work from diverse regions around the world. We saw all manner of formats, dealing with all kinds of content.
The best papers we saw were the ones whose journalism transcended their formats. Whether we were looking at tabs, Berliners or broadsheets, it was the visual storytelling — the photography, the graphics, the art direction — that we reacted to. At the very best designed papers, the designers and editors understand how to deftly go beyond the do-no-harm approach to design, helping support a clear editorial voice and amplifying the journalism, both visual and written.
In that incredibly diverse group of 17 finalists we found fantastic work.
A common refrain around the table was, “I wish this was my paper. I wish this landed on my doorstep each morning.”
Among the finalists, nearly every one had at least one judge championing its cause to move on—that’s how that’s how good they all are. And that’s how difficult it was to choose the papers that would ultimately be named world’s best.
In the end, the four we chose were unanimous selections, papers whose brilliance was inescapable to each judge, regardless of the different backgrounds we brought to the competition.
It was excruciating and exhilarating.
What set this group of papers apart was the consistency of the intensity and dedication they poured into the product—not just the cover or the front page, not just the section fronts, but every single page.

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Quattro giornalisti del Sun, il giornale di proprietà della News Corp, la media company di Rupert Murdoch, sono stati assolti da una corte inglese dall’accusa di aver effettuato pagamenti illegali a pubblici ufficiali. Si tratta degli ultimi giornalisti in ordine di tempo a venire scagionati dopo la massiccia indagine nata dallo scandalo intercettazioni che lo scorso giugno ha coinvolto dei giornalisti di News of the World, pubblicazione “sorella” del Sun. News UK, il “braccio britannico” di News Corp (che, fra le altre cose, possiede anche il Wall Street Journal) ha messo a disposizione degli investigatori impegnati nelle indagini una grandissima quantità di e-mail i cui contenuti hanno poi condotto all’arresto di decine di giornalisti del Sun colpevoli di aver distribuito mazzette a pubblici ufficiali

Nello specifico, i giornalisti del Sun sono stati riconosciuti non colpevoli di aver pagato alcuni militari in cambio di informazioni delicate su diversi personaggi pubblici, fra cui – racconta il Wall Street Journal – i nipoti della regina Elisabetta d’Inghilterra, William e Harry. Dietro le sbarre c’è invece finito un dipendente del ministero della Difesa che aveva incassato mazzette per quasi 150 mila dollari in cambio della diffusione di informazioni riservate e che in prigione resterà per un anno. La questione se i giornalisti debbano essere penalmente perseguibili quando pagano per ottenere informazioni che ritengono di interesse pubblico è estremamente controversa e sono in molti ad essere convinti che casi del genere non dovrebbero neanche essere portati in tribunale.

Non c’è, invece, “nulla da festeggiare” secondo Duncan Larcombe, uno dei giornalisti scagionati, per il quale la “caccia alle streghe” va avanti a danni di quei colleghi che “ancora si trovano a dover fronteggiare un incubo da cui io stesso spero di potermi svegliare un giorno”. Larcombe e gli altri avevano sostenuto, a propria discolpa, di aver pagato soldati e funzionari del ministero della Difesa britannico per ottenere notizie di pubblico interesse che, proprio per questa ragione, andavano messe a disposizione del pubblico. All’uscita del tribunale, John Kay (un altro dei quattro giornalisti scagionati) si è detto “enormemente sollevato” per il fatto che sia giunta a conclusione quella che ha definito una vera e propria “ordalia” durata tre anni. “Spero – ha concluso Kay – che questo risultato porti buoni frutti anche agli altri miei colleghi che ancora si trovano in una situazione tanto imbarazzante”.